QUELL’ARTE PEDESTRE DI G.CI.

ParigiChampsÉlysée.

Pedestre”, ovvero: “di colui che va a piedi”.

Parrebbe semplice e logica la spiegazione del dizionario; e  invece no!

Il termine, come spesso accade, ha vari significati. Il più proprio è un traslato posto ad indicare lo svilimento dell’avente causa, come per l’appunto si apprende continuando la consultazione : “cosa di scarso livello”; o ancora: “attributo privo di originalità o novità”. Il più irreale dei sinonimi si concretizza invece nell’attribuzione di: “bassa imitazione…”,  insomma, “robaccia”; dal che, ne consegue  una serie infinita di ignominìe scalari quali: “pedestremente, banalmente, pedissequamente…”.

Un esempio su tutti: “esporre pedestremente o pedissequamente le proprie idee”; ovvero, essere la quintessenza del peggio del peggio nell’auto promozione; eccetera, eccetera.

Per essere brevi, nella lingua di Dante, si indica con la parola “pedestre”, cioè, “fatta coi piedi”, qualsivoglia cosa, opera od azione di scarso impatto sociale, estetico, culturale, dialettico; quasi che in quell’originario peccaminoso e contaminante: “far  di , a, con i , …piedi”, sia insito il concetto di indecorosità, indecenza  e  basso profilo: insomma, uno scarto malfatto, una “fregnaccia”, (fregnaccia [fre-gnàc-cia] s.f. (pl. -ce) volg., rom. Sciocchezza).

Premesso che chi scrive queste note è solito andar più spesso “a piedi” che a mezzo motrici, ritenendo l’atto suo, una personale vanteria e  cosa socialmente assai  meritevole; il preambolo o  l’incipit  che dir si voglia, sta invece ad indicare l’opera parigina,  a modo suo d’arte e da “boulevard  pedestre”, di Giulia Caminada.

Opere e immagini le sue, neppure a dirlo, fatte “coi piedi”; laddove il “far coi piedi” sta a significare con esattezza semantica il vero, o meglio, i  veri soggetti dell’opera omnia: sissignori, proprio i “piedi “, intesi non in senso letterario o metaforico, ma concretamente, fisicamente; cioè come  arti , come membra palpitanti vita, ovvero come le parti terminali delle estremità inferiori di noi bipedi generalmente eretti e perlopiù spensieratamente deambulanti .

Naturalmente piedi di ogni tipo e dimensione: piedi di bimbi,  di donne, di  uomini, di giovini e vecchi, ma  tutti rigorosamente parigini  e certamente immortalati in quel di Parigi, e comunque aventi per oggetto e sfondo  boulevards veracemente calcati; che fa pur differenza!

Piedi mai ignudi, sempre debitamente calzati, talora tratteggiati, a volte garbatamente sfumati, sempre molto colorati, agghinghiati, adornati, stringati, rialzati, “taccheggiati”, gommati, borchiati, squadrati, incapsulati, stivalati, lucidati, polverosi, ma su tutto estremamente dinamici.

Piedi in movimento sospesi e sorpresi nell’idea fotodinamica di un Balla fuor del suo tempo, in cui Giulia Caminada gioca con l’ablativo assoluto dei suoi paradigmatici : “pedibus calcantibus”, da ile de France. Il tutto nel contesto di un humus colto, raffinato e sedimentato della storia dell’arte e di una città altrettanto raffinata e candidamente sorpresa, sospesa,  a mezza via tra il suo dadaismo delle origini ed un  surrealismo al digitale da terzo millennio.

In quest’ottica, potenza evocativa del termine,  le giocose immaginette d’arte di Giulia Caminada, così naif, e così  “candidamente pedestri”; ma  per nulla naif e meno che mai candide o “pedestri”, irrompono allo sguardo ed all’analisi con la  triplice forza corrompitrice del “pedestre qualunque” di cui sopra. Sono cioè al tempo stesso arte, fotografie e gioco che qualunque “pedestre artista o ludico fotografo”, “ha fatto”, “potrebbe aver fatto”, o che certamente “potrà fare” in qualunque momento e con qualsivoglia apparecchio fotografico. Immagini dunque, a pieno titolo: “pedestri”. Dunque, nella loro totale “qualunquità”, queste immagini introducono un virus pernicioso  nella mente tanto del più goffo dei neofiti, quanto in quella del più smaliziato esegete.

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