GENTE COMUNE

Parigientre le Centre Pompidou et Notre-Dame 

La parola “comune” perde significati diversi da tutte le parti. Certo, accade anche con tantissime altre parole, però solo con pochissimi altri lemmi  le evocazioni appaiono così remote.

Veniamo  così a scoprire che la legge dell’ineguaglianza fra la gente, appunto, “comune”, è legge naturale. Provate a dire ad un tizio: “comune”?  Quello, di rimando, che immaginate possa pensare? (di) Milano, Roma, oppure, perché no, guarda il caso, Parigi.

Un altro tizio farà rieccheggiare idealmente l’idea all’ufficio anagrafe, all’IMU, all’annona a seconda dei casi, delle personali adempienze o tristezze burocratiche.

Un terzo, assai più organico, immaginerà un numero divisibile per molti altri; un quarto, infine, dall’idea assai veloce e reattiva, supporrà un tipo idealmente “fuor dal comune”, appunto.

C’è nell’idea generale,un “tipo comune”, che  per definizione appare amorfo, definito così, tanto dalla sociologia quanto e soprattutto  dal linguaggio (comune), che tende ad assimilarlo lombrosianamente  alla massa e a farlo gestire simbioticamente  con la gente, a sua volta “comune”.

Altro caso è quello della “casalinga di Voghera”, come appunto si diceva  e studiava agli albori delle comunicazioni mediatiche e dei sondaggi televisivi. Casalinga (“casalingua” nel traslato, “bassamente comune”, cosiddetto “comunemente volgare”) che tutti s’immaginavano , pur senza dirlo, come qualcosa di sommamente sbiadito: una specie di ufo umano, essenzialmente melanconico, tanto sterilmente loquace quanto scontato, omologato e banale.

Nella vita emergente la “casalinga comune” lo è stata e lo è certamente sbiadita e non solo per definizione “comune”; ma in quella vita sommersa, nascosta, interna, ai sogni proibiti della “gente comune”. Eccetera, eccetera.

Da tutto ciò discende che siccome ogni “tipologia del comune”, ogni genere del “banale quotidiano”,  ogni “tipo comune”, alla fine risulta per forza di cose,  atipicamente “fuori dal comune”, cioè non “banale”, costui o  costoro, tutti quanti noi “cosiddetti comuni”,  dovremmo avere per conseguenza una monografia, o almeno una parvenza di  “chansons de geste”  tutta nostra.

E se poi, puta il caso  prendessimo in considerazione un fotografo-artista, appunto “fuor dal comune” come Giulia Caminada, ed un “comune”, al caso nostro, Parigi; abitato da gente che si vuole “comune” a tutti e per nulla “comune”; ne risulterebbe certamente una documentazione “fuori dal comune”: una “chansons de geste” fatta nel contesto di un discorso per immagini altrettanto “non comuni”.

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