DUBLINO, Barra an Teampaill
Quindici sono i racconti di Gente di Dublino di James Joyce. Brevi storie di gente comune, personaggi ridicoli nel loro conformismo ma accomunati dalla presa di coscienza della propria realtà. Sembra come emergere dalle pagine del libro un senso generale di insoddisfazione, paragonabile a quella che precede una grande svolta, un cambiamento memorabile.
Un’improvvisa rivelazione spirituale – causata da quotidiani o banali gesti, oggetti e situazioni che di solito il protagonista sperimenta in un momento di crisi – diventa di importanza fondamentale nella sua vita. Un punto di non ritorno che svela significati più profondi dell’esistenza, ci porta oltre l’apparenza delle cose: dopo, il soggetto non vede più le cose con gli occhi di prima.
La reazione a questa presa di coscienza è la fuga, che puntualmente fallisce. Che sia fuga dall’angusta Dublino o dalle situazioni sociali che ingabbiano l’individuo. Nessun personaggio di Joyce riesce a tagliare completamente i ponti con il proprio mondo e a liberarsi dall’oppressione e dalla paralisi psicologica. Ma diventare consapevoli di questa situazione è il punto di svolta di ogni storia. Alias, conoscere se stessi è alla base della morale, se non la morale stessa.
Quindici sono le immagini di Gente di Dublino di Giulia Caminada. Frammenti di strada che generalmente passano inosservati ma che attraverso lo sguardo, mai banale, di Giulia diventano un piccolo cahier di viaggio per immagini, un taccuino agile nel contenuto, una tavolozza di appunti.
È il tentativo quasi surreale, quello di Giulia, di guardare la vita oggettivamente, di osservare la società dall’esterno, senza coinvolgimenti e lucidamente.
Questa idea si rispecchia anche nello stile. La scelta di scatti casuali che potrebbero essere stati fatti da chiunque, che potrebbero essere stati nostri: sono delicati incontri (una madre che stringe la mano della figlia); sono visioni al pub (come l’incrociare Bernard Shaw seduto a bere birra rossa con Hemingway); sono canzoni (come Over the rainbow, cantata da un musicista con la sua chitarra in Barra an Teampaill).
Per questo Gente di Dublino è un libello di pancia prima che un prodotto dell’intelletto, un itinerario emotivo, un tributo a una città affollata di persone e di fantasmi, di suggestioni artistiche e letterarie.
Un omaggio a James Joyce e alla gente della sua Dublino. La storia di una giornata per le vie di Dublino restituita alla nudità casuale delle persone. Quindici scatti dove alle cose del mondo ordinate secondo gli schemi della ragione e della tradizione Giulia sostituisce un ordine di tipo estetico e rappresentativo perché il disordine e l’assenza di senso si manifestino.
Quasi a ergersi a simbolo della via di fuga compiuta per le strade della quotidianità dublinese attraverso il mezzo fotografico. Lo sguardo registra e la macchina fotografica fissa – con rapidità digitale – movimenti che esistono al di fuori dello scatto. Non più staticità. È tutto fermo intorno ai soggetti, ma il loro gesto continua all’infinito. Come a dire che la realtà presente ci passa a fianco per allontanarsi nel passato: la vita ci sfiora e passa oltre. Ma oltre lo scatto, ha movimento.
Una nuova Gente di Dublino dei tempi moderni dove la gente di Dublino non diventa una frammentazione in coscienze ma ci restituisce una somma di stratificazioni e sovrapposizioni culturali del mondo contemporaneo che si urtano e che convivono.